Il 5 gennaio 2017 uno dei baluardi della cultura italiana, Tullio De Mauro, ci ha lasciati. Aveva 84 anni e la sua morte, ineluttabile come per ognuno di noi, lascia un abisso incolmabile nel nostro Paese, segno di un'epoca di grandi figure e cervelli eccezionali che sembra pian piano essere destinata a terminare.
Ho letto, come sempre, la notizia sui social network e la sensazione che ho provato è stata simile a quella vissuta quando lessi della morte di Umberto Eco. Ho sentito come se si fosse creato una sorta di buco nero nello scenario intellettuale italiano, testimone di un tempo segnato dall'impoverimento culturale e dalla decadenza linguistica che probabilmente raggiungerà livelli di volgarità - e non in senso dantesco - sempre maggiori.
Se non avete idea di chi sia stato Tullio De Mauro, non me la sento di guardarvi con espressione torva, anche se vorrei. Vorrei perché Tullio De Mauro è stato il più grande linguista italiano di tutti i tempi, nonché saggista e docente universitario. Grazie a lui gli studi linguistici sono diventati una disciplina indipendente, slegata per la prima volta sia dalla glottologia sia dalla storia della lingua.
La lingua parlata è stata nel corso degli ultimi cinquant'anni il cuore delle sue ricerche, il centro propulsore di studi che hanno illuminato e dato dignità alla linguistica. Tullio De Mauro è stato autore del Grande dizionario italiano dell’uso e della Storia linguistica dell’Italia unita, assessore alla Cultura del Lazio dal 1976 al 1978, socio ordinario dell’Accademia della Crusca, ministro della Pubblica istruzione dal 2000 al 2001, docente presso la facoltà di Lettere e Filosofia e Scienze umanistiche dell’università la Sapienza di Roma, e in altre facoltà italiane. Faceva parte della Società di Linguistica Italiana e la Società di Filosofia del Linguaggio e, nell'ultimo periodo, aveva lavorato, con Isabella Chiari e Francesca Ferrucci, alla riedizione del Nuovo vocabolario di base della lingua italiana.
Dalle ricerche di Tullio De Mauro emerge un quadro impietoso della scuola italiana, incapace di garantire un'istruzione adeguata agli studenti. "Il 70% degli italiani non capisce quelle che legge": questa la dichiarazione rilasciata dal linguista un anno fa, sintomo di un problema ben più ampio. Perché l'incapacità di comprendere ha come diretta conseguenza la diminuzione del senso civico del singolo individuo.
Tullio De Mauro, però, non hai mai addossato la colpa alla scuola: per lui il problema era sostanzialmente quello che accadeva fuori e dopo la scuola, in quelle case dove non era mai stato acquistato un libro.
La camera ardente è stata allestita ieri a Roma presso l'Aula 1 di Lettere della Sapienza e oggi, sabato 7 gennaio, ci sarà la commemorazione pubblica, sempre nell'Aula 1 dI Lettere, il posto migliore per ricordare un uomo del suo spessore intellettuale.
La mia speranza è che il suo nome non venga dimenticato, che il suo lavoro diventi il punto di partenza per altre ricerche e la molla che faccia scattare nelle menti di altre personalità brillanti - perché per fortuna ne esistono ancora - quell'ardore incondizionato nei confronti di una delle più belle eredità che il tempo e la storia ci hanno lasciato: la nostra lingua italiana.