La morte di Zygmunt Bauman, avvenuta lunedì 9 gennaio 2017, segna una linea di demarcazione profonda nel mondo della cultura. Se un tempo, la nostra epoca era caratterizzata da grandi pensatori e personalità incomparabili, oggi ci sono centinaia di ciarlatani che esprimono pensieri a caso sui social, pronti a far rissa virtuale qualora l'opinione di qualcun altro non collimasse con la loro.
Zygmunt Bauman non ci mancherà soltanto per le sue incredibili analisi sulla società odierna e per la sua capacità di comprendere e definire la realtà che ci circonda, ma soprattutto per la sua sublime capacità di parlare alle masse. Lo faceva in modo semplice, come si dovrebbe fare quando si vuole essere ascoltati, e capiti.
Aveva ben 91 anni ed è stato l'intellettuale che ha introdotto il concetto di "società liquida", divenuto celebre in tutto il mondo. Una metafora che illustra efficacemente la realtà nella quale viviamo, caratterizzata dall'incertezza quasi totale, dalla precarietà, dall'individualismo puro. Un pensatore che è stato testimone della crisi di passaggio tra il XX e il XXI secolo e che ha racchiuso nel termine e nel concetto di liquidità l'essenza del nostro tempo: la sua rapidità, caducità, infinita mutevolezza.
Tra i suoi lavori, impossibile non citare Modernità liquida (2000), Amore liquido (2003), Vite di scarto (2004), Paura liquida (2006), L’etica in un mondo di consumatori (2008), Cose che abbiamo in comune (2010), Danni collaterali (2011), La scienza della libertà. A cosa serve la sociologia? (2013), Stato di crisi (con C. Bordoni, 2015), Stranieri alle porte (2016).
Zygmunt Bauman ha capito prima di tutti quanto la nostra società fosse impossibile da categorizzare, inafferrabile come un fluido, parlando per la prima volta del concetto di postmodernità, momento storico nel quale l'uomo perde tutte le sue certezze, diventando preda facile di spaesamento, omologazione, solitudine globale.
Molto interessanti e attuali - nonché libere da ogni forma di pregiudizio e parzialità - sono le riflessioni del sociologo sui social network e sul fenomeno dell'immigrazione.
In merito al primo scottante tema, il filosofo ha detto che i social hanno successo perché "È un mondo dove c'e' la necessità di partecipazione ma al tempo stesso c'e' il desiderio di autonomia da parte di chi frequenta il social network, dove c'è la necessità di crearsi un'identità e di ottenere un riconoscimento''. La paura degli uomini di oggi è quella di non essere notati e per questo "si confonde la vita su Facebook con quella vera. Ogni volta che si usa il cellulare quell'azione viene registrata per sempre, c'è qualcuno da qualche parte che sa esattamente dove vi trovate, sa chi siete, dove siete. E la stessa cosa avviene quando si usano le carte di credito. C'è qualcuno che segue le vostre attività quotidiane e questo diventa di enorme interesse a livello di potere politico e economico. Zuckenberg guadagna soldi proprio grazie a queste situazioni. Ma a differenza del protagonista orwelliano, oggi non abbiamo paura di esser visti troppo, abbiamo paura di non essere notati, abbiamo paura della solitudine, il virus che mina e compromette il senso della vita è l'esclusione e l'abbandono. E su questo traggono vantaggio i social network".
Sul tema dell'immigrazione si era mostrato incredibilmente perspicace, come in tutto quello che osservava del resto. ''La politica di destra e di centro alimenta l'illusione che si possa tornare alla situazione di prima eliminando l'immigrazione. Con queste promesse si vincono le elezioni ma anche i politici sanno che sono promesse vane, perché il capitale industriale richiede sempre più immigrazione''. Aveva aggiunto: "Questi migranti, non per scelta ma per atroce destino, ci ricordano quanto vulnerabili siano le nostre vite e il nostro benessere. Purtroppo è nell'istinto umano addossare la colpa alle vittime delle sventure del mondo. E così, anche se siamo assolutamente impotenti a imbrigliare queste estreme dinamiche della globalizzazione, ci riduciamo a scaricare la nostra rabbia su quelli che arrivano, per alleviare la nostra umiliante incapacità di resistere alla precarietà della nostra società. E nel frattempo alcuni politici o aspiranti tali, il cui unico pensiero sono i voti che prenderanno alle prossime elezioni, continuano a speculare su queste ansie collettive, nonostante sappiano benissimo che non potranno mai mantenere le loro promesse. Ma una cosa è certa: costruire muri al posto di ponti e chiudersi in 'stanze insonorizzate' non porterà ad altro che a una terra desolata, di separazione reciproca, che aggraverà soltanto i problemi".
Ci svegliamo in un modo ancora più immerso nel caos e nel disorientamento, consapevoli che un trascinatore di folle come Zygmunt Bauman non lo rivedremo tanto presto. Nel frattempo, quello che possiamo fare, è cercare di osservare il nostro presente in modo imparziale, scevri di preconcetti, provando a vedere al di là della nebbia e di combattere la grande miopia del nostro tempo: l'incapacità di capire cosa succede realmente attorno a noi.