AMBITO ARTISTICO LETTERARIO
TITOLO: Il ritorno al padre, il ritorno del padre DESTINAZIONE: Rivista culturale fondazione studentescaApriamo questa breve analisi sul rapporto padri e figli con l’immagine di un abbraccio. È il quadro di Dechirico, Il ritorno del figliol prodigo, datato 1922 ed esposto attualmente al museo del Novecento di Milano. Il padre è rappresentato di spalle, come un manichino bianco inarticolato, mentre il figlio è un fantoccio colorato e senza volto. Questo quadro introduce una relazione, ma nello stesso tempo una separazione tra padri e figli, che il secolo scorso ha per la prima volta evidenziato nella storia dell’umanità.
Freud stesso aveva aperto il secolo con il ben noto complesso di Edipo, esplicitando per la prima volta la possibilità che l’essere umano provasse impulsi di distruzione nei confronti del proprio padre. Ma cosa rappresenta il padre per l’uomo Novecentesco?
Sicuramente le radici, la nostra storia millenaria che aveva portato la società al punto in cui era: molto lontano da sé stessa. E difatti il Novecento è stato il secolo di guerre mondiali, bombe nucleari, rivoluzioni informatiche, conquista dello spazio, contestazioni in piazza.
L’umanità, e l’occidente in particolare, si è trovata a un forte punto di rottura con quelle che erano le regole impostate dai loro padri. Padri che fino a quel momento erano stati sempre molti rigidi, più vicini a comandanti che a figure genitoriali educative, come si nota benissimo nel brano tratto da Lettera al padre di Kafka: “Una notte piagnucolavo incessantemente per avere dell’acqua […] Visto che alcune pesanti minacce non erano servite, mi sollevasti dal letto, mi portasti sul ballatoio e mi lasciasti là per un poco solo, davanti alla porta chiusa, in camiciola.”
Episodi come questo esprimono molto bene come la figura paterna sia sempre stata percepita come l’imposizione dall’alto di regole comportamentali non sempre spiegate, non sempre congeniali alla vita degli individui, ma finora sempre accettate. Il Novecento ha avuto il coraggio di cambiare questa passività di accettazione, proprio perché ciò che i padri avevano sempre insegnato non era più adatto alla nuova vita che si prospettava. “Pietro stava zitto e dimesso; ma non gli obbediva”, si legge infatti nel libro Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi.
Tutta l’arte e la letteratura del Novecento esprimono l’inizio di una presa di coscienza del legame/scollegamento, di un cambio di comportamento del figlio che dice al padre “No, io non sarò come te”. I figli iniziano a ragionare, a mettere in discussione i padri, e con loro tutto ciò che era stato prima. “Non voglio dire che non fosse giusto […]” continua Kafka nella sua lettera “voglio solo descrivere i tuoi metodi educativi e l’effetto che ebbero su di me”.
La scoperta dell’inconscio porta l’uomo del Novecento ad accorgersi che qualcosa viene irrimediabilmente segnato dai genitori, ponendo l’attenzione sul padre che aveva da sempre un ruolo normativo, più che comprensivo. Il rapporto padre-figlio è stato sicuramente modificato anche dalla nuova condizione femminile sviluppatasi in questo secolo. La donna, emancipandosi dai ruoli esclusivi di madre e casalinga, si è rafforzata, mettendosi per la prima volta a confronto sul piano educativo con i mariti, che fino a questo momento avevano dettato legge assoluta. E molto spesso la madre ha un punto di vista differente e ‘privilegiato’ rispetto al padre, riuscendo a comprendere meglio le esigenze della prole, semplicemente perché è abituata a interpretarne i segnali fin da subito.
La reazione dei padri di fronte alla diversità ‘irriverente’ dei figli e alla propria incapacità di comprenderli è stata spesso violenta, come a voler controllare qualcosa che sfugge di mano. Ma i figli, irrimediabilmente vanno in un’altra direzione, che è solo la loro, senza tuttavia comprendere a fondo la rabbia paterna e restandone irrimediabilmente segnati per la vita. Tozzi scrive che “Pietro, gracile e sovente malato, aveva sempre fatto a Domenico un senso di avversione […] Toccava il suo collo esile, con un dito sopra le venature troppo visibili e lisce; e Pietro abbassava gli occhi, credendo di dovergliene chiedere perdono come di una colpa.”
Il legame con il padre è però indissolubile. Non si può tagliare questo ‘cordone ombelicale’, come testimonia l’eterno ritorno sul tema. La figura paterna è presente nel nostro immaginario, nel nostro bagaglio culturale, anche quando non c’è fisicamente. Siamo influenzati anche dalla sua assenza e la ricerchiamo, come esprime bene Umberto Saba nella poesia Mio padre è stato per me l’assassino (1978, Il canzoniere), quando dice “Mio padre è stato per me ‘l’assassino’/fino ai vent’anni che l’ho conosciuto./ […] il dono ch’io ho da lui l’ho avuto./ Aveva in volto il mio sguardo azzurrino …”
Si cerca una somiglianza a tutti i costi, forse proprio per l’intrinseca spinta dell’essere umano di sapere da dove viene. Il padre assente, che non ha dato alcun contributo al figlio, viene comunque sentito come una parte importante, come qualcosa di fondamentale che addirittura gli dà, nel caso di Saba, il dono di scrivere poesie.
In conclusione, che sia un “danno interiore” come dice Kafka, o che sia un “dono” come per Saba, nel Novecento viene alla luce la presa di coscienza che il rapporto padre-figlio è significativo e soprattutto in evoluzione. La frattura messa in luce da questi e altri artisti denota un bisogno di dialogo con i padri, troppo spesso mediato dall’autorità o dal ruolo della madre, ma che sia fatto di ascolto sincero di emozioni e pensieri.
Chiudiamo la trattazione con lo stesso quadro di Dechirico, con un abbraccio a cui vogliamo dare un volto sorridente. Ci sono, in questo nuovo secolo, tutti gli strumenti affinché il ritorno (e il conseguente perdono come da parabola) non sia solo quello del figlio al padre e al suo modello di vita, ma sia anche del padre verso il figlio, per chiedere perdono e comprensione.